Ahmed Bensaada

Il y a pire que de ne pas être informé: c’est penser l’être

Politique

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Traduction: OSSIN

 

Analisi, febbraio 2011 - Quale è stato il ruolo degli Stati Uniti nella formazione degli attivisti che hanno scatenato la rivolta egiziana? Quale quello del Dipartimento di Stato e di personaggi come George Soros? Un'analisi controcorrente delle vicende in corso in Nord-Africa, che nulla toglie al coraggio e alla dedizione delle migliaia di persone che sono scese in piazza contro i regimi autocratici.

 

Non c’è niente di più commovente che vedere un popolo riconquistare la libertà dopo aver subito il giogo del dispotismo e ritrovare la sua fierezza dopo anni di umiliazione. Le maree umane che sfilano per le strade, occupano le piazze, gridando slogan sferzanti e irriverenti, utilizzando una parola da troppo tempo confiscata, esibendo una dignità oltraggiosamente disprezzata: una vera grazia divina.
Ma il seguito di queste rivolte ci lascia perplessi. Che cosa hanno prodotto oltre alla cacciata dei regimi al potere?
Andiamo a vedere. In Tunisia: un Ghannouchi che resta al potere nonostante la condanna popolare e gli anni trascorsi a servire un potere mafioso, un blogger che decide di ricoprire la carica di ministro in un governo dal quale è stato personalmente maltrattato e migliaia di giovani harraga che preferiscono fuggire in occidente piuttosto che continuare la rivoluzione nel paese dei gelsomini. Stesso scenario nel paese del Nilo: un Tantaoui, puro prodotto del sistema, che ha raggiunto da un pezzo l’età della pensione, e che, senza chiedere nulla al popolo sovrano, decide di mantenere le relazioni con Israele prima ancora di interessarsi alla sorte dei suoi concittadini; un governo leggermente modificato, i cui posti chiave restano sempre nelle mani degli apparatcik del sistema; dei ritocchi cosmetici della Costituzione e una richiesta di congelamento dei beni della famiglia Mubarak, formulata dopo incomprensibili esitazioni, molto tempo dopo quella fatta nei confronti di ex dignitari del regime.
Questa è una “rivoluzione”? E’ possibile che l’elefante abbia partorito un topolino?
I tiepidi risultati di queste rivolte possono essere compresi solo se si analizzi la loro genesi. La maggior parte degli specialisti “televisivi”, o di quelli che officiano sulla grande stampa, sono d’accordo sul carattere spontaneo di questi movimenti. In linea di massima, il popolo può essere considerato come una specie di pentola a pressione suscettibile di esplodere sotto l’effetto di una pressione sociale e politica troppo grande. Questa esplosione produce una reazione a catena nei paesi vicini, simili per cultura e storia. Bisogna dunque attendere con saggezza, preparare le telecamere e i microfoni per essere pronti a “coprire”, al momento opportuno, gli avvenimenti che agiteranno le piazze arabe.  
Si tratta di un’analisi ingenua e grossolana che è difficile possa essere accettata da parte di persone colte, titolari di cattedre, direttori di riviste, che hanno passato la loro vita a scrutare ogni minimo movimento di questa regione del mondo. Un po’ come gli illustri economisti contemporanei che non hanno saputo prevedere l’attuale crisi economica. Che cosa si sarebbe detto se un meteorologo non fosse stato capace di prevedere un gigantesco uragano?
Di fatto, ciò che colpisce dopo l’avvio dei moti tunisini, è la troppo forte preoccupazione USA a proposito delle nuove tecnologie. I molteplici interventi del presidente Obama e della sua segretaria di stato in difesa della libertà di accesso a internet e la loro insistenza perché i regimi che hanno a che fare con le manifestazioni popolari non interrompano la navigazione in rete hanno qualcosa di sospetto.
La signora Clinton ha anche affermato, il 15 febbraio scorso, che “internet è diventato lo spazio pubblico del XXI secolo” e che “le manifestazioni in Egitto e in Iran, alimentate da Facebook, Twitter e Youtube, dimostrano la potenza delle tecnologie di connessione come acceleratori del cambiamento politico, sociale ed economico”. Lei stessa ha annunciato lo scongelamento di 25 milioni di dollari “per sostenere dei progetti o la realizzazione di strumenti che agiscano in favore della libertà di espressione on line” e l’apertura di profili Twitter in cinese, russo e hindi dopo quelli in persiano e in arabo. D’altra parte le “complesse” relazioni tra il Dipartimento di Stato USA e Google sono state oggetto di ampia attenzione sulla stampa. E il famoso motore di ricerca viene considerato come “un’arma della diplomazia USA”.
Ma quali relazioni vi sono tra il governo USA e queste nuove tecnologie? Perché dei responsabili di così alto livello assumono decisioni nella gestione di imprese che si suppone siano private? E’ una situazione che non può non ricordarci l’intervento simile durante gli avvenimenti succeduti alle elezioni in Iran. Il Ministero USA degli Affari Esteri aveva allora chiesto a Twitter di rinviare un’attività di manutenzione che avrebbe provocato una interruzione del servizio, cosa che avrebbe privato gli oppositori iraniani dei mezzi di comunicazione.
Questi curiosi agganci tra il governo USA e le reti sociali in regioni del mondo così sensibili e durante avvenimenti sociali così delicati é molto sospetto, è il minimo che si possa dire.
Altro elemento che attira l’attenzione: la fortissima esposizione mediatica dei blogger, il loro collegamento con una rivoluzione definita come “facebookiana” e l’insistenza sulla loro non-appartenenza a qualsiasi movimento politico. Si tratta dunque di persone giovani e apolitiche che utilizzano le nuove tecnologie per destabilizzare dei regimi autocratici radicati nel paesaggio politico da decenni. Ma da dove vengono questi giovani e come possono riuscire a mobilitare tante persone senza avere avuto una formazione adeguata né essere collegati a qualche associazione? Una cosa è certa: il modus operandi di queste rivolte ha tutte le caratteristiche delle rivoluzioni colorate che hanno scosso il paesi dell’est all’inizio degli anni 2000.


Le rivoluzioni colorate
Le rivolte che hanno sconvolto il paesaggio politico dei paesi dell’est o delle ex-repubbliche sovietiche sono state definite “rivoluzioni colorate”. La Serbia (2000), la Georgia (2003), l’Ucraina (2004) e il Kirghizistan (2005) ne sono degli esempi. Tutte queste rivoluzioni, che si sono chiuse con successi clamorosi, si sono basate sulla mobilitazione dei giovani attivisti locali filo-occidentali, studenti focosi, blogger impegnati e insoddisfatti del sistema.
Numerosi articoli (leggere per esempio: John Laughland, “La tecnique di coup d’état coloré”, Réseau Voltaire, 4 gennaio 2010 –
http://www.voltairenet.org/article1...) e un rimarchevole documentario della reporter francese Manon Loizeau (Manon Loizeau, “Les Etats Unis à la conquete de l’Est”, 2005. Questo documentario può essere visto all’indirizzo: http://macanoblog.wordpress.com/200...) hanno analizzato a fondo il modo in cui queste rivolte si sono realizzate e mostrato che erano gli USA a tirare i fili.
Infatti il coinvolgimento dell’USAID, del National Endowment for Democracy (NED), dell’International Republican Institute, del National Democratic Institute for Intarnational Affairs, di Freedom House, dell’Albert Einstein Institution e dell’Open Society Institute (OSI) è stata provata con chiarezza (leggere ad esempio: Ian Traynor, “US campaign behind the turmoil in Kiev”, The Guardian, 26 novembre 2004 –
http://www.guardian.co.uk/word/200...).

Queste organizzazioni sono tutte USA, finanziate sia dal governo che da privati nordamericani. Per esempio, la NED è finanziata con un budget votato dal Congresso e i fondi sono gestiti da un Consiglio di amministrazione dove sono rappresentati il Partito repubblicano, il Partito Democratico, la Camera di Commercio degli USA e il sindacato AFL-CIO, mentre l’OSI fa parte della Fondazione Soros, dal nome del suo fondatore George Soros, il miliardario nordamericano, illustre speculatore finanziario.
Sono stati avviati diversi movimenti per realizzare le rivolte colorate. Tra essi, OTPOR (Resistenza in lingua serba) è quello che ha provocato la caduta del regime serbo di Slobodan Milosevic. Il logo di OTPOR, un pugno chiuso, è stato ripreso da tutti i movimenti successivi, e la cosa dimostra una forte collaborazione tra essi.
Diretto da Drdja Popovic, OTPOR predica l’ideologia di resistenza individuale non violenta teorizzata dal filosofo e politologo USA Gene Sharp. Soprannominato il “Macchiavelli della non violenza”, Gene Sharp è il fondatore dell’Albert Einstein Institution. La sua opera “From Dictatorship to Democracy” (Dalla dittatura alla democrazia) è stato alla base di tutte le rivoluzioni colorate. Disponibile in 25 diverse lingue (tra cui naturalmente l’arabo), questo libro può essere consultato gratuitamente in internet e la sua ultima edizione data 2010. La prima edizione, destinata ai dissidenti birmani di Tailandia, è stata pubblicata nel 1993.


Il caso dell’Egitto
E’ stato il movimento del 6 aprile che ha costituito la punta di lancia della protesta popolare egiziana e il principale artefice della caduta di Hosni Mubarak. Formato da giovani della classe media, attivisti, appassionati di nuove tecnologie, questo movimento ha, fin dal 2008, sostenuto le rivendicazioni operaie.
La prima collusione tra questo movimento e il governo USA è stata divulgata da WikiLeaks. Si tratta di 2 cablogrammi (08CAIRO2371 e 10CAIRO99) datati rispettivamente novembre 2008 e gennaio 2010, che mostrano con chiarezza strette relazioni tra l’Ambasciata USA del Cairo e gli attivisti egiziani (WikiLeaks cablo 10CAIRO99 –
http://213.251.145.96/cable/2010/01...; WikiLeaks, cable08CAIRO2371, http://www.wikileaks.ch/cable/2008/...).
La blogger Israa Abdel Fattah, cofondatrice del movimento del 6 aprile, viene nominativamente menzionata nel secondo documento come facente parte di un gruppo di attivisti che hanno partecipato ad un programma di formazione organizzato a Washington da Freedom House. Il programma, chiamato “New Generation”, è stato finanziato dal Dipartimento di Stato e USAID ed aveva come obiettivo la formazione di “riformatori politici e sociali”.
Questi stage di formazione negli Stati Uniti di attivisti egiziani suscettibili di “rappresentare una terza via, moderata e pacifica” non sono rari. Condoleeza Rice (maggio 2008) e Hillary Clinton (maggio 2009) ne hanno incontrati alcuni, sotto gli auspici di Freedom House (FH). Questi dissidenti hanno anche avuto dei colloqui con alti responsabili dell’amministrazione USA.
Gli attivisti di OTPOR, forti dell’esperienza accumulata nella destabilizzazione dei regimi autoritari, hanno fondato un centro per la formazione dei rivoluzionari in erba. Questa istituzione il CAMVAS (Centre for Applied Non Violent Action and Strategies) ha sede nella capitale serba e il suo direttore esecutivo altri non è se non Srdja Popovic. Uno dei documenti che circolano in rete e che illustra gli insegnamenti dispensati da questo centro è “La lotta non violenta in 50 punti”, che si ispira largamente alle tesi di Gene Sharp. L’opera vi fa parecchi riferimenti e il sito dell’Albert Einstein Institution viene citato come uno dei migliori sulla questione. CANVAS è finanziato, tra gli altri, da Freedom House, Georges Soros in persona e dall’International Republican Institute che vede nel suo direttivo anche John McCain, il candidato alle presidenziali USA del 2008. D’altronde quest’ultimo viene lungamente intervistato nel documentario di Manon Loizeau e il suo coinvolgimento nelle rivoluzioni colorate è stabilito con certezza. Inoltre gli autori dell’opera (tra cui Drdja Popovic) ringraziano molto il “loro amico” Robert Helvey per averli “iniziati al potenziale sbalorditivo della lotta strategica non violenta”. Robert Helvey è un ex colonnello dell’esercito USA, associato all’Albert Einstein Institution attraverso la CIA, specialista dell’azione clandestina e decano della Scuola di formazione degli attaché militari delle Ambasciate USA.
La portavoce del movimento del 6 aprile, Adel Mohamed, ha affermato, in un’intervista accordata al canale Al Jazira (diffusa il 9 febbraio 2011) che aveva effettuato uno stage al CANVAS durante l’estate 2009, molto prima dei moti di piazza Tahrir. Ha appreso le tecniche di organizzazione delle masse e di comportamento di fronte alla violenza poliziesca. In seguito ella stessa ha formato altre persone.
Ahmed Maher, il cofondatore del movimento 6 aprile, ha dichiarato a un giornalista del Los Angeles Times “che ammirava la rivoluzione arancione ucraina e i Serbi che hanno rovesciato Slobodan Milosevic”.
Un’altra somiglianza tra la rivoluzione serba e la rivolta egiziana è l’adozione del logo di OTPOR da parte del movimento del 6 aprile, così come hanno fatto le altre rivoluzioni colorate.
D’altra parte il sito web di questo movimento contiene una lunga lista di comportamenti da adottare dai membri in caso di arresto. Questa lista assai dettagliata fa esplicito riferimento alla “lotta non violenta in 50 punti” di CANVAS.
Tra gli attivisti egiziani, alcuni sono stati sotto i riflettori durante gli ultimi giorni del regime Mubarak. Tra essi Wael Ghonim è una figura rimarchevole che è stata in prigione per 12 giorni e, dopo essere stato liberato, ha concesso un’intervista alla televisione egiziana Dream 2, nel corso della quale parla della sua prigionia e scoppia in lacrime. Questa performance audiovisiva ha fatto di questo cyberdissidente un eroe suo malgrado.
Formatosi all’Università americana del Cairo (una coincidenza?), Wael Ghonim è un egiziano che vive a Dubai, dove lavora come responsabile marketing di Google (un’altra coincidenza?) per il Medio oriente e l’Africa del Nord. E’ sposato con una nordamericana (un’ennesima coincidenza?). Wael è un attivista recente nel movimento del 6 aprile, ma ha lavorato fianco a fianco con Ahmed Maher. Una cosa che desta interesse nel corso del suo intervento televisivo, è la sua dichiarazione quando gli hanno mostrato le immagini dei giovani uccisi durante le manifestazioni: “Voglio dire a tutte le madri, a tutti i padri che hanno perso un figlio: chiedo scusa, non è stata colpa nostra, lo giuro, non è stata colpa nostra, è stata colpa di tutte quelle persone che erano al potere e vi si sono attaccati”. Questa dichiarazione dimostra che il movimento era organizzatissimo e che nessuno di essi aveva previsto che vi sarebbero state delle perdite anche tra i manifestanti, per la maggior parte giovani, che sono stati contattati attraverso le reti sociali.
Altra informazione sorprendente: il Presidente-Direttore Generale di Google si è dichiarato “molto fiero di ciò che Wael Ghonim aveva realizzato”, come se fare la rivoluzione facesse parte dei compiti del responsabile di marketing di una qualsiasi impresa.
La rivolta egiziana, come le rivoluzioni colorate, ha fatto comparire dei personaggi “internazionalmente rispettabili”, pronti ad assumere ruoli di punta nel cambiamento democratico e nella vita politica di un paese. Il candidato favorito del movimento del 6 aprile è senza dubbio Mohamed El Baradei, premio Nobel della pace ed ex direttore dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica (AIEA). Il battage mediatico occidentale attorno alla sua “fondamentale” candidatura si è dimostrata essere solo un petardo bagnato. Il popolo della piazza non l’ha plebiscitato e lui è rapidamente sparito dalla scena. E’ interessante sottolineare che El Baradei era il candidato preferito dagli Stati Uniti. Infatti l’ex direttore dell’AIEA è componente dell’International Crisis Group insieme a numerosi personaggi, tra cui George Soros (ancora lui!). Il mondo è veramente piccolo, è il minimo che si possa dire.
Infine notiamo che la NED, soprannominata la “nebulosa dell’ingerenza democratica” da Thierry Meyssan è stata creata da Ronald Reagan per fiancheggiare le azioni segrete della CIA. Il rapporto 2009 di questo organismo mostra che ha assegnato circa 1,5 milioni di dollari a più di 30 ONG egiziane “per la crescita e il rafforzamento delle istituzioni democratiche attraverso il mondo”, come recita il loro sito.
L’utilizzazione delle nuove tecnologie, così incensato dall’amministrazione USA, si dimostra essere uno strumento di prima qualità per la lotta non violenta. Esse permettono di contattare un numero impressionante di persone in un tempo record e di scambiare dati e informazioni di grande importanza all’interno e all’esterno del paese. Gli investimenti massicci effettuati dalle istituzioni e dal dipartimento di stato USA in questo ambito hanno la finalità di migliorare le tecniche di aggiramento della censura statale, di geolocalizzazione degli attivisti quando sono arrestati e di trasmissione di immagini e video che mostrino il volto inumano dei regimi autocratici. Il recente annuncio della rete svedese Bambuser sulla possibilità di diffondere gratuitamente, da un telefono mobile, sequenze video in diretta e stoccarle istantaneamente in linea è un buon esempio di ciò.
Tuttavia, quando comincia l’azione, le tecniche di mobilitazione delle masse, di socializzazione con le forze dell’ordine, di gestione logistica e di comportamento in caso di violenza o di utilizzazione di armi di dispersione delle folle necessitano di una formazione adeguata e di lungo respiro. Nel caso dell’Egitto, ciò è stato possibile grazie all’assimilazione dell’esperienza del CANVAS e alle formazioni dispensate e finanziate dalle diverse istituzioni USA.
E’ chiaro che la rivolta di piazza egiziana non è così spontanea come pretendono la grande stampa e i suoi commentatori. Ciò che non toglie niente al rimarchevole impegno del popolo egiziano che ha seguito i leader del movimento 6 aprile e alla sua nobile abnegazione per sbarazzarsi di un sistema corrotto per conquistare una vita migliore.
Ma speriamo che la storica rivolta della piazza egiziana e il pesante tributo che ha pagato in queste ultime settimane non siano confiscati da interessi stranieri. Il recente veto USA contro un progetto di risoluzione che condanna la politica di colonizzazione israeliana è di cattivo auspicio. Il movimento del 6 aprile non è sensibile alla sofferenza del popolo palestinese?


 

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CEPRID

Traducido por Julio Fucik

No hay nada más emocionante que ver a la gente recuperar su libertad después de ser sometido al yugo del despotismo y recuperar su orgullo después de años de humillación. La marea humana marchando por las calles, el espacio que ocupa, el despliegue de consignas mordaz e irreverente, blandiendo una palabra tan largamente confiscada, llevando escandalosamente la dignidad pisoteada: la quintaesencia de la felicidad divina. Pero las consecuencias de estos disturbios nos deja un tanto perplejos. ¿Qué han hecho, excepto tocar la parte superior de los regímenes?

Vamos a ver. En Túnez , Ghannouchi sigue en su puesto de primer ministro pese a la multitud de años que ha servido a una mafia, un bloguero acepta sentarse con el ministro en una reunión y miles de jóvenes eligen escapar hacia Occidente antes de perpetuar la “revolución” en la tierra del jazmín. En Egipto, el mismo escenario: Tantawi, un producto puro del sistema y que hace tiempo ha sobrepasado la edad de jubilación decide mantener sus relaciones con Israel, incluso antes de estar preocupado por el destino de sus propios ciudadanos, un gobierno ligeramente modificado y con las posiciones clave en manos de los burócratas del régimen con promesas de cambios cosméticos a la constitución y una solicitud para congelar los activos de la familia Mubarak.

¿Es esto una revolución? ¿Es posible que el elefante dé a luz un ratoncito?

Los resultados mixtos de estas revueltas no pueden ser entendidos mediante el examen de su génesis. La mayoría de los expertos en los grandes medios se han puesto de acuerdo en la naturaleza espontánea de estos movimientos. En términos generales, la gente se puede considerar una especie de olla a presión que puede explotar bajo el efecto de una presión social y política muy grande. Esta explosión produce una reacción en cadena en los países vecinos, con cultura o historia similar. Entonces sólo tiene que esperar en silencio, preparar las cámaras y micrófonos para cubrir en tiempos y lugares, eventos que despiertan las calles árabes. Es un análisis simple y elemental. Un poco como los economistas famosos de nuestro tiempo que no podían prever la enorme crisis económica que el mundo ha conocido recientemente. ¿Qué diría usted si un meteorólogo no habría esperado un huracán gigante? De hecho, lo que llama la atención desde los disturbios de Túnez es la preocupación de EE.UU. sobre las nuevas tecnologías. Las múltiples acciones del presidente Obama y su secretaria de Estado para defender la libertad de acceso a Internet y su insistencia en que los planes de colaborar con las manifestaciones populares no interrumpir la navegación en la web era algo sospechoso.

Clinton llegó a decir, el 15 de febrero pasado, "Internet se ha convertido en el espacio público del siglo XXI" y que "los acontecimientos en Egipto e Irán, alimentados por Facebook, Twitter y YouTube reflejan el poder de las tecnologías de conexión como aceleradores del desarrollo político, social y económico "[1]. Incluso ha anunciado la aprobación de 25 millones de dólares "para apoyar proyectos o crear herramientas que trabajan a favor de la libertad de expresión en Internet, y la apertura de cuentas de Twitter en chino, ruso e hindi después de los de en persa y árabe. Por otro lado, la relación "compleja" entre el Departamento de Estado y Google han sido ampliamente discutidos en la prensa. Por otra parte, el famoso motor de búsqueda fue llamado "un arma de la diplomacia estadounidense" [2].

Pero ¿cuál es la relación entre el gobierno de EE.UU. y las nuevas tecnologías? ¿Por qué se toman estas decisiones en un alto nivel de responsabilidad político cuando la toma de decisiones en la gestión de las empresas se supone que es privado? Esta situación es una reminiscencia de intervención similar de EE.UU. durante los acontecimientos que siguieron a las elecciones en Irán [3]. El Departamento Federal de Asuntos Exteriores había pedido a Twitter explicaciones por una operación de mantenimiento que dio lugar a una interrupción del servicio, privando a los disidentes iraníes como un medio de comunicación [4].

Lo menos que se puede decir es que es curiosa esta coincidencia entre el gobierno de los EEUU y las redes sociales en algunas partes del mundo, y que es muy sospechoso.

Otro elemento que llama la atención: la cobertura mediática excesiva de los blogueros, su asociación con una revolución llamada "Facebookien" y la insistencia de su no pertenencia a ningún movimiento político. Así que es joven y apolítico y utiliza las nuevas tecnologías para desestabilizar los regímenes autocráticos arraigados en el panorama político durante décadas. Pero, ¿de dónde salen estos jóvenes y cómo se puede movilizar a tanta gente sin haber recibido una formación adecuada o estar vinculado a una organización específica? Lo cierto es que el modus operandi de estas rebeliones tiene todas las características de las revoluciones de colores que sacudió a Europa Oriental en la década de 2000.

Las revoluciones de colores

Las revueltas que sacudieron el panorama político de Europa del Este o las antiguas repúblicas soviéticas han sido llamadas "revoluciones de color". Serbia (2000), Georgia (2003), Ucrania (2004) y Kirguizistán (2005) son algunos ejemplos. Todas estas revoluciones, que han resultado éxitos rotundos, se basan en la movilización de los jóvenes activistas locales pro-occidentales, bloggueros y la insatisfacción con el sistema.

Muchos artículos y un documental notable de la periodista francesa Manon Loizeau [5] han diseccionado el procedimiento y puso de manifiesto que en estas revueltas fueron los Estados Unidos quien movió los hilos.

De hecho, la participación de la USAID, la National Endowment for Democracy (NED), el Instituto Republicano Internacional, el Instituto Nacional Demócrata para Asuntos Internacionales de la Casa de la Libertad, el Instituto Albert Einstein y el Abierto de Society Institute (OSI) se ha establecido claramente [6]. Estas organizaciones son todas estadounidenses, financiadas tanto por el presupuesto de los EE.UU. como por capital privado. Por ejemplo, la NED se financia con un presupuesto aprobado por el Congreso y los fondos son administrados por una Junta Directiva con la representación del Partido Republicano, Partido Demócrata, la Cámara de Comercio de los Estados Unidos y el sindicato AFL-CIO, mientras que la OSI es parte de la Fundación Soros, el nombre de su fundador, George Soros, el multimillonario estadounidense con vínculos con los especuladores financieros.

Varios movimientos se han establecido para dirigir la revuelta de color. Entre ellos, Otpor (Resistencia en serbio) es el que causó la caída del régimen serbio de Slobodan Milosevic. El logotipo de la OTPOR, un puño cerrado, fue tomado por todos los movimientos posteriores, lo que sugiere la estrecha colaboración entre ellos.

Conducido por Drdja Popovic, Otpor aboga por la aplicación de la ideología de la resistencia no violenta individual teorizada por el filósofo y politólogo estadounidense Gene Sharp. Apodado el "Maquiavelo de la no violencia", Gene Sharp no es otro que el fundador de la Institución Albert Einstein. Su libro "De la Dictadura a la Democracia" ha sido la base de todas las revoluciones de colores. Disponible en 25 idiomas diferentes (incluido el árabe, por supuesto), este libro está disponible gratuitamente en Internet y su última edición es de 2010. Su primera edición, destinada a disidentes birmanos en Tailandia, se publicó en 1993.

El caso de Egipto

Es el Movimiento del 6 de abril la vanguardia de la protesta popular egipcia y el principal artífice de la caída de Hosni Mubarak. Compuesto por jóvenes de clase media, los activistas, los entusiastas de las nuevas tecnologías, este movimiento, desde 2008, apoyó las demandas de los trabajadores.

La primera colusión entre este movimiento y el gobierno de EE.UU. ha sido filtrada por Wikileaks. Hay dos cables (y 08CAIRO2371 10CAIRO99), respectivamente, que data de noviembre de 2008 y enero de 2010 que muestran claramente la estrecha relación entre la Embajada de EE.UU. en El Cairo y los activistas egipcios [7]. Isra Abdel Fattah blogger [8], co-fundador del movimiento, de 6 de abril, se menciona por su nombre en el segundo documento, como parte de un grupo de activistas que participaron en un programa de formación organizado por Freedom House en Washington. El programa, denominado "Nueva Generación", fue financiado por el Departamento de Estado y la USAID, y consistió en la creación de "reformadores sociales y políticos."

Estos cursos de formación de activistas egipcios en los Estados Unidos podría "representar una tercera vía, moderada y pacífica" y no son infrecuentes. Condoleeza Rice (mayo de 2008) y Hillary Clinton (mayo de 2009) se reunieron bajo los auspicios de Freedom House (FH). Estos disidentes incluso han mantenido conversaciones con altos miembros administración de EE.UU.

Los activistas de Otpor, con una sólida experiencia en la desestabilización de los regímenes autoritarios, han fundado un centro de formación de los que aspiran a revolucionarios. Esta institución se encuentra en la capital de Serbia y su director ejecutivo no es otro que Srdja Popovic. Un documento que circula ilustra la formación impartida por este centro que es "la lucha no-violenta en 50 puntos", que se basa en gran medida de los argumentos de Gene Sharp. El libro hace una amplia referencia al sitio de la Institución Albert Einstein es citado como uno de los mejores sobre el tema. Está financiado, entre otros, por Freedom House, George Soros [9] y el Instituto Republicano Internacional, en el que tiene su oficina en nada menos que John McCain, el candidato presidencial 2008 en EEUU. Por otra parte, es ampliamente reflejado en el documental de Manon Loizeau y su participación en las revoluciones de colores está claramente establecida.

El portavoz del Movimiento de 6 de abril, Adel Mohamed, dijo en una entrevista con Al Jazeera (salió al aire 09 de febrero 2011) que realizó una pasantía en el centro de Popovic durante el verano de 2009, mucho antes de disturbios en la Plaza Tahrir [10]. Se familiarizó con las técnicas de organización y comportamiento de las multitudes en respuesta a la violencia policial. Posteriormente, formó a otra gente.

Ahmed Maher, el fundador del Movimiento del 6 de abril, dijo a Los Angeles Times "que admiraba la Revolución Naranja en Ucrania y la de los serbios que derrocó a Slobodan Milosevic” [11].

Otra similitud entre la rebelión serbia y Egipto es que se está adoptando el logotipo de OTPOR por el Movimiento del 6 de abril, al igual que otras revoluciones de colores [12].

Por otra parte, el sitio web de este movimiento contiene una larga lista de comportamientos que deben adoptar los miembros si son detenidos por la policía. Esta lista indicativa recuerda la guía completa de "La lucha no violenta en 50 puntos" [13].

Entre los activistas egipcios, algunos estaban en el centro de atención durante los últimos días del régimen de Mubarak. Entre ellos, Wael Ghonim, que fue encarcelado durante 12 días y después de ser liberado concedió una entrevista al Canal 2 de Egipto donde habla de su cautiverio y se derrumba en lágrimas antes de salir de la sala de entrevistas. El espectáculo audiovisual ha hecho de este un héroe disidente a pesar de sí mismo. Formado en la Universidad Americana de El Cairo (¿coincidencia?) Wael Ghonim está viviendo en Dubai, Egipto, trabajando como jefe de marketing de Google (¿otra coincidencia?) para el Medio Oriente y África del Norte y está casado con un estadounidense (¿una coincidencia más?). Wael un poco activo en el Movimiento de 6 de abril, pero trabajó en estrecha colaboración con Ahmed Maher [14].

En la rebelión de Egipto, como las revoluciones de colores, los personajes que parecen "internacionalmente respetables" están listos para ser el mascarón de proa de un cambio democrático en la vida política del país. El candidato favorito del Movimiento 6 de abril es, sin duda, Mohamed El Baradei, Nobel de la Paz y ex director del Organismo Internacional de Energía Atómica (OIEA). El bombo de los medios occidentales en torno a su "inevitable" nominación fue en última instancia, un petardo mojado. La gente de la calle no lo reconoció así y rápidamente desapareció del paisaje. Es interesante notar que El Baradei fue el candidato preferido de los Estados Unidos. De hecho, el ex jefe de la OIEA es un miembro del Grupo Internacional de Crisis y se sienta con muchos miembros, incluyendo a George Soros (¡otra vez!) [15]. El mundo es muy pequeño, es lo menos que podemos decir.

Por último, tenga en cuenta que la NED fue creada por Ronald Reagan para continuar los secretos de la CIA [16]. El informe de 2009 muestra que esta organización ha otorgado aproximadamente 1’5 millones de dólares a más de 30 organizaciones no gubernamentales egipcias "para el crecimiento y fortalecimiento de las instituciones democráticas de todo el mundo" como se dice en su sitio web [17].

El uso de las nuevas tecnologías, tan alabado por el gobierno de EE.UU. parece ser una herramienta de elección para la lucha no-violenta. Con ella puede comunicarse con un número impresionante de personas en un tiempo récord y el intercambio de datos digitales e información de gran importancia tanto dentro como fuera del país. Las grandes inversiones realizadas por las instituciones de EE.UU. en esta área tienen como finalidad mejorar las técnicas de evasión de la censura estatal, los activistas de geolocalización durante su detención y el envío de imágenes y videos que pueden mostrar la cara "inhumana" de regímenes autocráticos.

Sin embargo, una vez en la calle, multitud de técnicas de movilización, la socialización con los representantes de la gerencia de la orden de logística, y la conducta en los casos de violencia o el uso de armas para dispersar multitudes necesitan una formación adecuada y tiempo. En el caso de Egipto, esto fue posible gracias a la asimilación de conocimientos del centro de Popovic y formación impartida y financiada por diversas instituciones de los EEUU.

Está claro que la revuelta de la calle egipcia no es tan espontánea como se exige por los grandes medios y los comentaristas. Esto no quita para el compromiso notable de la población egipcia que siguieron a los líderes del Movimiento 6 de abril y su noble sacrificio para deshacerse de un sistema corrupto para acceder a una vida mejor.

Pero es de esperar, la rebelión histórica del pueblo de Egipto y el alto precio que ha pagado en las últimas semanas no sean confiscados por los intereses extranjeros. El reciente veto de EE.UU. contra un proyecto de resolución que condena la política de asentamientos israelí es un mal presagio. El Movimiento de abril no fue sensible al sufrimiento del pueblo palestino [18].

Referencias

1. "Hillary Clinton hace campaña por la libertad en Internet", Le Monde, 16 de febrero de 2011,http://www.lemonde.fr/technologies/ ...

2. "Google, los EE.UU. y Egipto", Le Monde, 3 de febrero de 2011, http://www.lemonde.fr/technologies/ ...

3. Ahmed Bensaada ", Teherán y Gaza: los medios de comunicación diferencia, Geoestrategia, 3 de julio de 2009,http://www.ahmedbensaada.com/index ....

4. "Irán: Washington trabaja con Twitter, Technaut, 18 de junio de 2009, http://technaute.cyberpresse.ca/nou ...

5. Manon Loizeau, "La conquista de Oriente por EEUU", de 2005. Este documental se puede ver en la siguiente dirección:http://mecanoblog.wordpress.com/200 ...

6. Véase, por ejemplo, Ian Traynor, "Campaña de EE.UU. Detrás de la agitación en Kiev, The Guardian, 26 de noviembre de 2004, http://www.guardian.co.uk/world/200 ...

7. Wikileaks, 10CAIRO99 por cable, http://213.251.145.96/cable/2010/01 ... y Wikileaks, cable 08CAIRO2371, http://www.wikileaks.ch/cable/2008/ ...

8. Fanoos Enciclopedia ", Isra Abdel Fattah, http://www.fanoos.com/society/israa ...

9. Maidhc O. Cathail, " Detrás de la Fuerza de Egipto”, "Dissident Voice, 16 de febrero de 2011, http://dissidentvoice.org/2011/02/t ...

10. Tina Rosenberg, "Revolución" U ", Foreign Policy, 18 de febrero de 2011, http://www.foreignpolicy.com/articl ... , 7

11. Jeffrey Fleishman, "jóvenes egipcios montar reto inusual a Mubarak," Los Angeles Times, 27 de enero de 2011,http://articles.latimes.com/2011/ja ...

12. Florian Bieber, "La conexión de Otpor en Egipto", Balkan Insight, 31 de enero de 2011, http://www.balkaninsight.com/en/blo ...

13. Movimiento de la Juventud 6 de abril, "¿Qué pasa si usted es arrestado," http://shabab6april.wordpress.com/s ...

14. The New York Times, 13 de febrero de 2011, http://www.nytimes.com/2011/02/14/w ...

15. Grupo Internacional de Crisis, Crisis Group anuncia nuevos miembros de la Junta, 1 de julio de 2010,http://www.crisisgroup.org/en/publi ...

16. Thierry Meyssan, "Nebulosa" democrática "interferencia", Red Voltaire, 22 de enero de 2004,http://www.voltairenet.org/article1 ...

17. NED, "Informe anual 2009: Egipto, http://www.ned.org/publications/ann ...

18. El Movimiento de Solidaridad Internacional, "Mohamed Adel finalmente ha sido puesto en libertad", " http://www.ism-france.org/temoignag ...

 


Version française de l'article

Version italienne de l'article


 

Il n’y a rien de plus émouvant que de voir un peuple recouvrer sa liberté après avoir subi le joug du despotisme et retrouver sa fierté après des années d’humiliation. Les marées humaines défilant dans les rues, occupant des places, déployant des slogans cinglants et irrévérencieux, maniant une parole si longtemps confisquée, arborant une dignité outrageusement bafouée : la quintessence du bonheur divin.

Mais les lendemains de ces révoltes nous laissent quelque peu perplexes. Qu’ont-elles accompli à part l’étêtement des régimes en place?

 

Question n°2:

Est-ce que les régimes arabes de type monarchique sont actuellement immunisés contre la révolte de la rue arabe? Est-ce que leur nature, leur essence et leurs liens particuliers avec l'Occident les protègent de cette « contagion »?

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