Recinzioni israeliane e chiacchiere egiziane

GENNAIO 17, 2013

Ahmed Bensaada Reporters 13 gennaio 2013

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

Se la tendenza continua, Israele, in un futuro molto prossimo, sarà l’unico territorio al mondo completamente protetto da barriere artificiali. La recinzione costruita dallo Stato ebraico è comunemente chiamata “muro dell’apartheid”, ma è definita “barriera di sicurezza israeliana” dal “politicamente corretto”. Lunga più di 700 chilometri, si snoda attraverso le terre per separare fisicamente i palestinesi dagli israeliani. Si stima che solo il 20% della barriera segua il percorso della Linea Verde tra la Palestina e lo Stato ebraico, il confine di prima del 1967. La costruzione di questo recinto segregazionista, dal costo stimato di oltre 2,5 milioni di euro al chilometro, ha permesso ad Israele di erodere inesorabilmente territorio palestinese, e apertamente davanti alla comunità internazionale. Così, con il pretesto della sicurezza, il “Muro” ha favorito l’annessione di nuovi territori, oltre a complicare notevolmente la vita dei palestinesi.

Il 2 gennaio, Israele ha completato la costruzione della sezione principale della recinzione che corre lungo il confine con l’Egitto, nel Sinai. Alta cinque metri e lunga 230 chilometri, questa barriera è costituita da un recinto di filo spinato, un terrapieno di sabbia e da sofisticate infrastrutture per la raccolta di informazioni. Dopo il completamento del tratto finale di 14 km, previsto entro tre mesi, il recinto si estenderà dal porto di Eilat (sul Mar Rosso) alla Striscia di Gaza. Approfittando di questo evento per la campagna sulla sicurezza, Netanyahu, il leader israeliano, si è recato ad inaugurare l’opera che ha richiesto 45.000 tonnellate di acciaio e circa 430 milioni di dollari. “Credo che questo successo ci incoraggi ad intraprendere il nostro lavoro su altre frontiere. In futuro, chiuderemo tutti i confini di Israele“, ha detto. [1] Così, in tutto il suo splendore, ecco il sogno di “Bibi” di circondare Israele e i suoi insediamenti con il filo spinato! Ci vorrà un duro lavoro per la sua realizzazione. In effetti, il 6 gennaio 2013, veniva annunciata la costruzione di una barriera fortificata sulle alture del Golan, per una lunghezza di 70 km, lungo il confine tra Israele e Siria.
Stesso tipo di costruzione del Sinai, la recinzione dovrebbe proteggere lo Stato ebraico da possibili incursioni da parte di gruppi terroristici della regione, e da un coinvolgimento nel conflitto in Siria. Può anche (e soprattutto) garantire la tranquillità dei coloni che vivono in decine di insediamenti nella regione siriana, completandone la giudaizzazione. Per soddisfare i desideri di Netanyahu e quindi rinchiudere lo stato ebraico in una “gabbia”, non rimane a Israele che occuparsi delle frontiere siriane e giordane. Questo è ciò che il primo ministro israeliano aveva annunciato, il 1° gennaio 2012. Verrà costruito un muro lungo il confine occidentale con la Giordania, un tratto di 240 km (al costo stimato di 360 milioni di dollari).
Su un articolo sul tema, “Monitoraggio delle attività colonizzatrici israeliane nella Cisgiordania palestinese e a Gaza“, un progetto finanziato dall’Unione Europea, si è osservato che: “La decisione di Israele di installare una barriera di sicurezza lungo il confine giordano, contiene una dimensione ancora più grave del degrado delle condizioni di vita dei palestinesi. Il Giordano è considerato un confine naturale riconosciuto internazionalmente. La diplomazia dei muri israeliana, in realtà, ha lo scopo di espandere il territorio israeliano dal Mar Mediterraneo a ovest, alle rive del Giordano ad est, trascurando così il popolo palestinese e il suo diritto ad uno Stato, essendo il confine con la Giordania la porta principale verso il mondo. Così, la barriera di sicurezza al confine giordano avvia uno scenario peggiore: la deportazione forzata di tutti i palestinesi verso la Giordania, scenario considerato da alcuni gruppi israeliani e leader politici come plausibile, dato che l’esistenza del popolo palestinese viene vista come una minaccia continua all’esistenza dello Stato ebraico“. [2]
A nord, al confine israelo-libanese, la costruzione di un muro di due chilometri di lunghezza e di diversi metri di altezza, è iniziata il 30 aprile 2012. La sua utilità: separare l’insediamento israeliano di Metula dal villaggio libanese di Kafr Kila [3]. Da questo isterico auto-confinamento, l’analista israeliano Alex Fishman ha tratto una conclusione sferzante: “Siamo diventati una nazione che s’imprigiona dietro le recinzioni e si rannicchia, terrorizzata dietro scudi difensivi.” E’ diventata, dice, “una patologia mentale nazionale“. [4] Vedasi l’intervista ad Alex Fishman.
Così Israele sta costruendo barriere di sicurezza per “proteggersi” dai pericoli del suo vicinato, la “primavera” araba continua la sua opera nei paesi vicini. A Sud, dove la recinzione è quasi completa, il governo islamista guida l’Egitto con la presidenza di Mohamed Morsi. Membro dei Fratelli musulmani e primo presidente civile della repubblica, Morsi ha già fatto notizia utilizzando espressioni un po’ troppo “affettuose”, durante uno scambio epistolare con il suo omologo israeliano Shimon Peres [5].

 

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La lettera molto affettuosa a Peres di Morsi

Si deve riconoscere che il vocabolario di Morsi verso gli israeliani è cambiato, da quanto un soffio di primavera l’ha portato alla presidenza. Così, pochi mesi prima che la rivolta ponesse fine al regime di Mubaraq, aveva chiesto di “rompere qualsiasi rapporto con questa entità criminale (cioè Israele)”, e aveva anche detto, tra le altre cose, che “gli ebrei sono sanguisughe, discendenti dai maiali e dalle scimmie“. [6]

E non è tutto. Un’altra personalità della fratellanza ha scatenato una tempesta mediatica, offrendo agli ebrei egiziani che hanno fatto la loro “aliyah”, di ritornare in Egitto e recuperare i propri beni.[7] Si tratta di Issam al-Arian, vicepresidente del partito “Giustizia e Libertà” (vetrina politica dei Fratelli musulmani) e consigliere del presidente Morsi.

Questa strana uscita mediatica ha sorpreso molti, soprattutto perché si è verificata appena cinque settimane dopo la fine dell’operazione omicida “Pilastro della difesa” contro Gaza, che ha causato almeno 163 morti e 1235 feriti tra i palestinesi. Inoltre, al-Arian ha accusato l’ex presidente Nasser di aver espulso gli ebrei dall’Egitto. Questa animosità “fratellesca” contro Nasser non è nuova e riemerge ogni volta che se ne presenta l’occasione. [8] Ma questa dichiarazione è stata anticipata da Kamal al-Qadi che ha fatto un’analisi dello star system dell’era del presidente Nasser. Ha mostrato, dopo una panoramica storica di quel periodo tumultuoso, che molte celebrità ebraiche egiziane (come Leila Mourad) erano venerate e rispettate dal pubblico e che Nasser aveva decorato alcuni di loro con medaglie durante cerimonie nazionali. E ha concluso: “Tutti questi segni e prove confermano che Nasser e il suo regime non sono mai stati contro la comunità ebraica [egiziana] e non hanno costretto nessuno a lasciare l’Egitto per motivi religiosi o etnici” [9]. La presidenza si è subito dissociata da Issam al-Arian, affermando che “parla a suo nome anche se fa parte dei consiglieri del presidente Mohamed Morsi” (sic) [10].

Ma in Egitto non ci sono solo gli islamisti a fare gli occhi dolci oltre il Sinai e le recinzioni elettrificate di un metro e mezzo di altezza. Maikel Nabil, un cyberattivista per la democrazia egiziano di origine copta, ha visitato Israele nel dicembre 2012. Finanziato da UN Watch, un’organizzazione affiliata al Congresso Ebraico degli USA, il viaggio è stato molto pubblicizzato dalla stampa israeliana, che l’ha definito “eroe” della rivoluzione egiziana. Maikel Nabil è divenuto famoso per la sua prigionia per opera  delle autorità militari nell’aprile 2011, cioè dopo la caduta di Mubaraq. Condannato a tre anni di carcere per aver insultato i militari sul suo blog, è stato rilasciato dopo dieci mesi di reclusione. Tale rilascio era dovuto ad una mobilitazione internazionale della blogosfera, e il perdono gli è stato accordato in occasione del primo anniversario della rivolta in Egitto. In Israele, il programma della visita ha incluso l’organizzazione di diverse conferenze. In una di esse, presso l’Università ebraica di Gerusalemme, è stato insultato dagli studenti palestinesi [11].

Va detto che il dissidente ha attirato l’attenzione fin dall’inizio per le sue posizioni politiche molto singolari. Anche se di origine copta, si è definito ateo, laico e filo-israeliano. Pochi giorni prima della caduta di Mubaraq, ha pubblicato un video in cui chiedeva ad Israele di mostrare solidarietà verso la “rivoluzione” in Egitto, affermando che “Mubaraq non è mai stato amico di Israele” e che “la democrazia e i diritti umani sono valori israeliani“[12].

Per giustificare il suo viaggio in Israele, Maikel Nabil ha scritto su Times of Israel: “Dopo anni di appelli per la pace, mi sono reso conto che praticare la pace è più importante che parlarne. La mia visita è un messaggio di pace della comunità egiziana, per dire che ne abbiamo avuto abbastanza di violenze e di contrasti, e vogliamo finirla. Vogliamo vivere insieme come esseri umani, senza violenza, razzismo o muri“[13]. Non poteva dirlo. Mentre lui e Issam al-Arian continuano a chiacchierare sul ritorno degli ebrei egiziani e sulle virtù della democrazia israeliana, lo Stato ebraico continua a costruire sofisticati muri che l’isolano dal mondo arabo e gli lasciano annettere altro territorio. Queste terre che ricoprono i corpi di palestinesi ancora caldi. Queste terre intrise di sangue palestinese, che non hanno ancora avuto il tempo di asciugarsi.

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Gaza, 15 novembre 2012: I membri della protezione civile scavano per recuperare i feriti sepolti sotto la sabbia(vittima dell’operazione “Pilastro della difesa”)

 

Riferimenti
1. Herb Keinon, La barrière sud: objectifs accomplis” Jerusalem Post, 9 gennaio 2013
2. POICA.org “La Diplomatie des Murs” Diplomazia 3 febbraio, 2012
3. Laura Stephan, “A la frontière avec le Liban, Israël érige un mur“, Le Monde, 2 maggio
4. Harriet Sherwood , “Israel extends new border fence but critics say it is a sign of weakness” The Guardian, 27 marzo 2012,
5. Ahmed Bensaada, “La tragedia di Gaza in termini della “primavera araba”“, Reporters, 10-11 dicembre 2012
6. Roger Astier, “Vidéo: Morsi: “Les juifs sont des suceurs de sang, les descendants des porcs et des singes!”", JSSNews, 5 gennaio 2013
7. Said Ali, “Avec vidéo…El-Erian demande au juifs égyptiens de retourner d’Israël“, al-Youm al-Masry, 28 dicembre 2012
8. Ahmed Bensaada, “Egitto: Fratelli e il Grande Muto” Reporters 29 dicembre 2012
9. Kamal el-Kadi, “Les stars juives sur la terre d’Égypte“, al-Quds al-Arabi, 11 gennaio 2013
10. Al-Arabiya, “La présidence égyptienne: nous ne sommes pas responsables des déclarations d’El-Erian sur les juifs“, 1 gennaio 2013
11. Robert Mackey, “Protesters Disrupt Egyptian Blogger’s Speech in Israel“, The New York Times, 24 dicembre 2012
12. Maikel Nabil, “Message to Israel Calling for solidarity with the Egyptian Revolution“, Youtube, 4 febbraio 2011
13. Maikel Nabil, “Making peace by going to Israel“, The Times di Israele, 10 dicembre 2012

Ahmed Bensaada

Traduzione di Alessandro Lattanzio - SitoAurora

Provenienza dell'articolo

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dal quotidiano algerino Reporters, 15 gennaio 2013 (pp. 12-13)